Pollock e Warhol: un viaggio nella pittura americana
- Dettagli
- Categoria: Recensioni
- Creato Sabato, 15 Febbraio 2014 18:45
- Scritto da G.S.
In mostra al Palazzo Reale di Milano: "Warhol" e "Pollock e gli irascibili". Un grande percorso nell'arte americana.
Un unico grande percorso dall'action painting al Minimalismo alla PoP Art. Abbiamo letto in questo modo le due mostre organizzate al Palazzo Reale di Milano. La prima intitolata Jackson Pollock e agli “Irascibili” e la seconda Warhol.
La prima è l'esposizione di 49 capolavori, curata da Carter Foster con la collaborazione di Luca Beatrice, è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano ed è prodotta e organizzata da Palazzo Reale, Arthemisia Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con il Whitney Museum di New York.
L'altra, “Warhol”, promossa e organizzata dagli stessi soggetti è curata da Peter Brant con il contributo di Francesco Bonami: appassionato collezionista,fin da giovanissimo Brant iniziò a comprare opere di artisti contemporanei americani mettendole poi a disposizione perfini di studio e divulgazione attraverso la Brant Foundation.
Il viaggio nell'arte americana del '900 – che si discosta dalla tradizione europea - comincia con Jackson Pollock di cui ci sono, purtroppo, pochissime opere. Alcune figurative e la famosa “n. 27”. Alle pareti sono proiettati alcuni video, reperibili anche su apposite piattaforme su internet, che mostrano Pollock mentre dipinge.
La sua voce spiega il suo stile, la sua tecnica: La mia pittura non viene dal cavalletto. Non tendo quasi mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla senza tenderla, al muro o a terra. Sento il bisogno della resistenza di una superficie dura. […] Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali della pittura: cavalletto, tavolozza, pennelli. Preferisco stecche, spatole, coltelli, e sgocciolamento di pittura fluida o un impasto denso di sabbia, frammenti di vetro e altri materiali non-pittorici. Quando sono nel mio quadro non sono cosciente di quello che sto facendo.
Il resto della mostra, che come itinerario dall'action painting e dagli espressionisti americani verso il minimalismo di Rothko e di Stamos è valido, offre la visione delle opere di altri 17 artisti detti gli “Irascibili” per una clamorosa protesta contro il Metropolitan Museum of Art.
Questo gruppo di pittori reinterpreta sia lo spazio sia le immagini. Non si parla più di figura – se non per le donne di De Kooning o per certa pittura lirica di Gorky, e non si parla più di spazio. Sam Francis ad esempio dipinge soltanto i bordi della tela mentre alcune opere di Rothko, Still, Pollock e di Newman tendono verso l'occupazione monocromatica dell'intero spazio sulla tela. Non c'è più immagine, non c'è più realtà.
Gli “Irascibili”, infatti, reinventano la loro realtà: artisti senza radicamento sociale che non condividono la visione della vita quotidiana della società americana: troppo consumistica, tanto pragmatica.
Una visione diversa da quella della Pop Art e, in particolare, di Andy Warhol che degli artisti Pop è sicuramente il più noto proprio per aver indagato con la sua pitttura l'essenza della società americana pur senza esprimere giudizi di merito.
Warhol sfrutta la conoscenze del mondo pubblicitario e la propria genialità per trasformare in icona tutto ciò che è noto agli americani ma di cui pochi sembrano accorgersi. Warhol rifiuta il metodo pubblicitario, per quanto in fin dei conti vi rimanga imbrigliato, che prevede un enorme sforzo creativo per pochi attimi di attenzione. Lui usa un metodo creativo senza “sforzo”: la serigrafia per riprodurre in serie le foto – non scattate da lui – di celebrità come Marilyn Monroe, Liz Taylor, Mao Zedong, Elvis Presley o di prodotti come le zuppe Campbell's o la Coca Cola o addirittura il simbolo del dollaro.
Immagini che evidentemente la gente conosce e a cui forse non presta più molta attenzione. Warhol trasforma quelle immagini in icone, in arte che non sarà più dimenticata e non sarà più – in un certo senso – “usa e getta”.
I ritratti dei personaggi famosi rinascono come collage di colori puri (usa l'inchiostro tipografico) o si trasformano in oscure composizioni quasi monocromatiche (come la Marylin). Talvolta Warhol accosta l'immagine più volte rendendone quasi impossibile la visione binoculare.
Warhol è un grande comunicatore e usa diversi strumenti per la sua arte: dalla serigrafia alla fotografia ai filmati. Non disdegna, infatti, i ritratti fotografici (in mostra ce ne sono numerosi) che realizza su commissione per le celebrità e non disdegna l'autoritratto mediante i quali trasforma se stesso in un'opera d'arte: si fotografa in posa da automa alla “Blade Runner”, travestito da donna, con indosso sgargianti parrucche.
Nelle sue opere anche una particolare attenzione alla vita e alla morte: in mostra alcune immagini tratte dai “Disastri” ossia immagini di morti violente prese dalla cronaca quotidiana e le famose immagini della sedia elettrica, strumento di morte tipicamente americano. In mostra i teschi con il loro richiamo alla morte che Warhol tende ad esorcizzare per poi, fatalmente, rimanere vittima di una disattenzione dopo un banale intervento chirurgico.
Warhol presenta, in pratica, quelli che sono gli aspetti tipici della cultura americana diversamente da quanto avevano fatto gli artisti prima di lui: i divi, il dollaro, i prodotti commerciali che tutti hanno in casa. Li trasfigura in opere d'arte senza giudicarli.
Alla fine del percorso anche un ritratto “ossidato” di Basquiat (usava vernice a pigmentazione di metallo e poi lui o altri ci orinavano sopra per scatenare il processo di ossidazione) e la grande “Ultima cena”. L'artista rielaborò alla propria maniera opere d'arte di De Chirico, Leonardo da Vinci, Botticelli (alcune facendo pensare allo stile di Roy Lichenstein, artista Pop che trovò la sua capacità espressiva nel fumetto).
Giusi Santangelo